Dolore nel Parto: Ansie, paure, e percezione del dolore.

La condanna divina di cui testimonia la bibbia con il “Tu partorirai con dolore” sta ad indicare le lontane origini di questo tributo umano al parto. Il parto si presenta infatti alla donna soprattutto come una prova di dolore da affrontare: come affermano gli studi condotti su popolazioni che vivono ancora in società primitive, non esiste cultura in cui la nascita sia totalmente un evento indolore. Nella cultura occidentale, per esempio, il parto è considerato da molti uno dei dolori peggiori che un essere umano possa provare. Poichè l’esperienza del dolore è molto diversa da individuo a individuo, è stato molto difficile, fino ad ora, ottenere una soddisfacente definizione del dolore. Si può comunque convenire che il dolore è una complessa esperienza percettiva, in cui convergono sia componenti di carattere neurofisiologico, sia di carattere più prettamente psicologico e culturale. Oggi infatti si ritiene che ogni spiegazione fisiologica del dolore abbia implicitamente un contenuto psicologico, il che ha una profonda influenza sia sullo studio che sul trattamento della patologia dolorosa. Dal punto di vista fisiologico, esiste durante il travaglio ed il parto, un dolore obbiettivo: esso è dato dalla dilatazione del collo dell’utero, specie se si è in presenza di una certa rigidità.

Uno degli scopi fondamentali della psicoprofilassi è infatti quella di proteggere la donna dall’ansia e dalla paura del dolore di parto. Piscicelli sottolinea come, mentre nella vita primitiva la maggior parte delle paure era basata sull’esperienza del pericolo reale, con il progressivo sviluppo culturale si è accresciuto in maniera esagerata l’aspetto possibilistico del pericolo. Così l’esperienza passata di donne che hanno già avuto a che fare con il parto è fonte molto importante d’influenza sulle disposizioni mentali delle giovani. Sin dalle più tenere età, le ragazze diventano consapevoli, per le informazioni ricevute, che avere un figlio è un’esperienza piena di pericoli ed estramamente dolorosa. Le madri, le amiche, le letture diventano in questo modo cariche di suggestioni spaventose per l’evento parto. La sola aspettativa del dolore è sufficiente così per aumentare il livello d’ansia ed in tal modo l’intensità del dolore percepito. Spesso si suppone che le variazioni nella percezione del dolore da persona a persona siano dovute a differenti “soglie del dolore”; cioè si presume l’esistenza di una diversità fisiologica per cui una persona può avere una bassa soglia (e percepire il dolore in seguito ad un danno leggero), mentre un’altra può avere una soglia elevata (e percepire il dolore solo in seguito ad un danno grave). Oggi sappiamo che la soglia di sensazione, cioè l’intensità minima dello stimolo capace di evocare la sensazione, è uniforme in tutti gli individui, indipendentemente dal patrimonio culturale.

Però questa uniformità della soglia di sensazione viene riscontrata soltanto in esperimenti di laboratorio meticolosamente controllati, nei quali tutte le condizioni ambientali sono mantenute costanti. In situazioni più naturali, invece, l’attenzione, la suggestione o altri processi cognitivi possono modificare radicalmente la soglia di sensazione. A tale proposito, ricordiamo come la focalizzazione dell’attenzione, associata ad una forte suggestione, facciano entrambe parte del fenomeno d’ipnosi. Infatti in ipnosi l’attenzione del soggetto è focalizzata intensamente sull’ipnotizzatore e sui pensieri e le immagini, mentre l’attenzione verso altri stimoli è notevolmente ridotta. Al contrario, se l’attenzione di una persona fosse focalizzata su un’esperienza dolorosa, essa tenderebbe a percepire il dolore più intensamente che in condizioni normali.

Altro aspetto che senz’altro influenza la percezione del dolore è l’atteggiamento acquisito durante l’infanzia rispetto al dolore stesso. Viene comunemente accettato che i bambini vengano influenzati profondamente dagli atteggiamenti dei genitori nei confronti del dolore e che tali atteggiamenti siano conservati anche nell’età adulta. Lo stesso Melzack afferma che “ il dolore è un’esperienza percettiva le cui qualità ed intensità sono influenzate dalla storia passata dell’individuo, dal significato che egli dà alla situazione dolorosa e dal suo stato d’animo in quel momento. In questo modo il dolore diventa una funzione di tutto l’individuo, compresi i suoi pensieri ed i timori del momento e le sue speranze per il futuro”. Da tali premesse possiamo affermare come il peso delle due componenti somatica e psichica (nei suoi aspetti emotivi e cognitivi) che contribuiscono ad influenzare il vissuto dell’esperienza dolorosa, debba essere accuratamente valutato per introdurre un paziente in un programma terapeutico corretto. Il dolore è infatti un’esperienza olistica e pertanto dolore psicogeno e dolore somatogeno non devono essere trattati con rigoroso dualismo.

La paura, l’ansia, il dolore del parto sono i temi più spesso rimossi e negati dalle pratiche ostetriche. La Deutsch per esempio rileva come la moderna ostetricia abbia di fronte al parto un atteggiamento meccanicistico ed antipsicologico. La missione del ginecologo si riduce infatti nell’evitare a qualsiasi costo il dolore ed i possibili pericoli del parto, giustificando così l’utilizzo di ogni forma di anestesia chimica. Secondo l’autrice, la tendenza dell’ostetricia moderna è così quella di privare per quanto possibile la donna di ogni partecipazione cosciente ed attiva all’esperienza unica della nascita, e di trasformare questo processo in un’operazione completamente diretta dal medico. La donna viene allora anestetizzata ed alcune ore più tardi, quando si sveglia confusa, indolenzita ed indifferente, le viene presentato un figlio sconosciuto, ben lavato e vestito. In tal modo, secondo la Deutsch, è la donna che viene impoverita di una grande esperienza. Non a torto oggi sempre più diffusamente si parla di “inflazione ostetrica”. La moderna ostetricia è intatti caratterizzata da un gran numero d’interventi nella cura della donna gravida e partoriente, interventi sempre più frequenti e di routine. In molti casi, però, l’inflazione degli interventi ostetrici non è giustificata da valide basi scientifiche, come ripetutamente è stato puntualizzato dalle letteratura professionale, dalle pubblicazioni dei movimenti per “una nascita alternativa” e dai mass-media. I nuovi modelli che valorizzano le componenti umani e “naturali” del parto (nascita dolce, nascita attiva, parto in casa, ecc…), favoriscono invece la donna nell’essere protagonista attiva, cercano di creare alla gestante un ambiente di sostegno e di contenimento buono, non solo per favorire un vissuto positivo del travaglio-parto, ma anche perché la donna avendone e conservandone un ricordo piacevole, possa su questa base strutturare comportamenti e rapporti intrafamigliari ed interpensonali validi.

Questo nuovo sviluppo porta innanzitutto ad una diversa concezione del dolore del parto. Benchè la sofferenza ed il dolore non siano più accettati nei nostri modelli di vita e creino paura, occorre riconoscere che, eliminando del tutto la sofferenza ed il dolore, eliminiamo anche un’esperienza umana profonda. Dobbiamo quindi riconoscere nuovamente al dolore la sua funzione di “veicolo” che ci permette di raggiungere la profondità dell’essere umano. L’obbiettivo fondamentale della preparazione al parto deve allora cambiare. Non si tratta più di tanto d’eliminare il dolore quanto d’imparare ad affrontarlo. La migliore profilassi nella paura del dolore e del parto per la gestante è di riuscire a conoscere i problemi emotivi che dominano e di utilizzare le sue reazioni in senso corretto. In quest’ottica si collocano tutte quelle metodiche di assistenza al parto che vogliono mettere le madri in grado di non subire il parto in modo puramente passivo come un processo fatale, ma di adottare un atteggiamento attivo, consapevole, assicurando loro, con accorgimenti e tecniche psicofisiche, un felice svolgimento della nascita. Perciò secondo Piscicelli occorre una preparazione completa, non limitata agli ultimi mesi di gravidanza, ma intrapresa fin dal primo trimestre di gravidanza, particolarmente nel caso di soggetti che presentino problematiche o esperienze particolari degne di maggiore attenzione.

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